Archivi Distratti. Conversazione

Archivi Distratti. Conversazione

di Giuliana Stella / 20 giugno 1996 / Sezione: Interviste / 0 Commenti

Inizialmente mi avevi presentato una serie di foto alle quali accostavi dei testi di poesia. Ho cercato una sequenza logica, una narrazione che avesse un proprio tempo, un inizio e una fine: una linea di ricerca che andasse da un punto all’altro.
Adesso mi fai ascoltare queste annotazioni vocali, musicali, suoni, rumori, effetti e si rafforza in me l’impressione che non esista una vera e propria sequenza, che non si possa rintracciare quella linea di ricerca a cui mi riferivo.

L’idea è quella di presentare un materiale che non ha coerenza, né estetica né narrativa. La coerenza è in una specie di caos, la molteplicità delle nostre vite. Per me la fotografia è uno sguardo speciale,  è riuscire a cogliere delle impressioni, delle visioni, la coerenza è nella continuità dell’esperienza, forse della memoria. Tutto quello che si stiva nel cervello. Le figure dell’esperienza. Per questo parlo di archivi.

Ma un archivio implica anche una sistemazione!?

Sono archivi distratti.

Quindi, ci sono immagini ma ci sono anche suoni, musica, voci, rumori, un altro registro di percezione. Il lavoro si sposta su diversi livelli, che tu costruisci, che metti insieme in modo non casuale. Non c’è una contraddizione?

No. Mettere insieme più livelli non è una contraddizione.

Le immagini sono fotografie che tu hai scattato, che tu hai deciso di stampare, che ti appartengono, che fanno parte di un tuo personale percorso. Ma poi unisci delle voci e un testo musicale che sono altro da te, è un lavoro di altri che si inserisce nel tuo e tutto diventa un’altra storia. È una regia, una collaborazione, un incontro?

Un incontro. Non mi interessava solo far vedere delle immagini, mi interessava costruire un incanto su una cosa che per me è seria e profonda: una riflessione sul il tempo. Ho pensato molto a cosa fare poi, del tutto casualmente, ho incontrato due musicisti e si è creta una condizione molto vera. La vita e l’esperienza non sono mai un canto solitario. Ho rivelato a due sconosciuti una mia urgenza. La necessità di mettere in scena  un pezzo della mia memoria. Dove queste voci che cantano e questi versi che sono nel mio cuore ci sono e ci saranno sempre. Ho chiesto aiuto per fare qualcosa che io non so fare, non ne ho gli strumenti tecnici, un po’ come si fa in un film.

Sembra che tu voglia costruire una situazione più che fare una mostra.

Ho cercato la sintesi tra diversi livelli di percezione, la musica è come l’elemento fluido in cui tutto si immerge, come l’acqua delle mie fotografie, dove immagini e parole galleggiano.

È una narrazione che implica un movimento. Qualcosa che va oltre il solo presentare delle fotografie. Perché hai deciso di fare questa mostra?

Per una questione strettamente personale. Per me la fotografia è qualcosa di molto privato, è quel certo modo di osservare le cose, l’unico e solo punto di vista che sento veramente mio. È stato un momento di profonda riflessione, anche se fatto attraverso delle istantanee.

Le tue immagini sono scattate con diversi tipi di macchine. Come utilizzi lo strumento fotografico?

La macchina fotografica è solo un mezzo tecnico, qualsiasi essa sia, un banco ottico, una usa/getta, in definitiva è una scatola con un buco, la luce entra, si sdraia sull’emulsione e crea delle reazioni fisico-chimiche dalle quali nascono le immagini, qualsiasi scatola va bene.

I soggetti delle tue fotografie sono molto diversi l’uno dall’altro: in base a che cosa hai scelto quelle da mostrare?

È un sentiero sentimentale.

Tracciato nella tua memoria?

Sì.

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